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La presenza di un invisibile
è come un tocco leggero. Ci voltiamo e ci chiediamo: chi era, da dove veniva, e dove stava andando? Il giorno in cui lui – o lei – divenne invisibile. Si muovono barcollando accanto a noi, legioni, coorti, armate di esistenze rese invisibili, e ci bisbigliano delle loro vite talvolta mai vissute, delle speranze e dei desideri. E può accadere che li udiamo. Allora ci viene voglia di dire “qualcuno ha perduto la sua vita e forse è stato per me, perché io potessi vedere”. L’invisibile visibile. Potrei essere io. Potresti essere tu.
Hilmer Eriksson, sedicenne appassionato di scacchi, abita in una piccola cittadina svedese e ha una ragazza che si chiama Ellen. I compagni di scuola lo definiscono un tipo comune, taciturno e un po’ assente. Una mattina di maggio, Hilmer scopre di essere diventato invisibile: nessuno può vederlo né toccarlo, ma tutti lo cercano. Deve essergli capitato qualcosa di brutto, ma lui non può ricordare e assiste impotente all’indagine del poliziotto Harald Fors, che interroga parenti e amici per scoprire cosa ha impedito al giovane Eriksson di tornare a casa sabato sera per vedere la partita.
Carmen Giorgetti Cima, che ha curato tutti gli ultimi titoli svedesi pubblicati da AER, traduce con stile limpido e grande scorrevolezza anche L’Invivibile del pluripremiato Mats Wahl, un romanzo intenso sospeso tra giallo investigativo e riflessione sociale (in Svezia ne esiste anche una versione cinematografica). Hilmer avrebbe potuto essere un ragazzo come tanti altri, ma non vuole abbassare gli occhi davanti all’ingiustizia: compie un atto coraggioso, ma nessuno sembra accorgersene fino al giorno della sua scomparsa. Il poliziotto Fors sospetta l’implicazione di alcuni giovani del movimento neonazista e non accetta che le croci uncinate apparse sui muri della scuola siano liquidate con una mano di vernice, per abitudine e superficialità.
L’incipit del racconto pone al centro dell’attenzione pensieri e sensazioni del protagonista, ma Hilmer è trasparente per chi lo circonda e sembra gradualmente sparire anche dalle pagine del romanzo: il punto di vista cambia e la narrazione diventa quasi impersonale, un susseguirsi di interrogatori e dialoghi, che sono tappe di una serrata indagine per risolvere il mistero che avvolge la scomparsa del sedicenne. Il fantasma di Hilmer appare di rado – l’autore sambra collocarlo ai margini della storia – eppure resta sempre evidente agli occhi del lettore. L’assenza diventa presenza, il suo essere invisibile determina il suo essere visibile, nelle azioni e nei sentimenti. Hilmer è vittima di un’insensata e inspiegabile violenza, messa in atto da minorenni con armi e poster miltari appesi in camera, ma è anche protagonista di una toccante storia d’amore. Odio e crudeltà, xenofobia e rabbia non riescono infatti a cancellare la tenerezza, né possono impedire che dalla morte nasca ancora una volta la vita.
Mara Pace, Andersen XXIII, 206, settembre 2004, 52. Non c'è molto spazio
per la speranza in questo bellissimo, tragico romanzo che rappresenta la parte più crudele e priva di senso della giovinezza e che punta il dito contro l'incapacità delle istituzioni, e degli adulti in genere, di affrontare le violenze gratuite, la boria e le spacconate di tanti ragazzi che, trovandosi a un certo punto in bilico, scelgono la strada della violenza e della crudeltà che può arrivare fino all'uccisione di un ragazzino qualsiasi, così, senza alcuna ragione.
Annalisa Brunelli, HaccaParlante 4, dicembre 2004, 88. Non di rado il dolore rende invisibili.
Si soffre e ci si nasconde a causa di quella stessa sofferenza.
E nel nascondersi si grida aiuto pensando che nessuno ascolti, sperando che qualcuno lo faccia, sapendo che si smette di esistere per la maggior parte del mondo. Hilmer Eriksson, il ragazzo intorno al quale si snoda la vicenda di questo romanzo è stato massacrato di botte e nascosto da ragazzi come lui, irretiti dal fascino incomprensibile, violento e mortifero del nazismo; la sua sofferenza come il suo essere invisibile sono concreti, fisici.
In un mondo ovattato ciò che diventa brutalmente visibile sono le foglie con cui è stato ricoperto Hilmer, quelle foglie che gli riempiono la bocca, e le foto, scattate all'ospedale, del volto irriconoscibile di un ragazzo come tanti.
Invisibile è, per quieto vivere, ciò che accade nella cittadina svedese, ciò che accade sotto i nostri occhi ogni giorno,ciò che spesso viene minimizzato come "ragazzata". E' per non permettere che questa invisibilità lo raggiunga che Fors, il poliziotto che indaga su un caso di presunta scomparsa, ripete continuamente a se stesso, come un ammonimento, di non diventare insensibile. Ogni suo passo, ogni sua azione sono accompagnati da pensieri che lo costringono a vedere:
"La presenza di un invisibile è come un tocco leggero. Ci voltiamo e ci chiediamo: chi era, da dove veniva, e dove stava andando?
Il giorno in cui lui - o lei - divenne invisibile.
Si muovono barcollando accanto a noi, legioni, coorti, armati di esistenze rese invisibili, e ci bisbigliano
delle loro vite talvolta mai vissute, delle speranze e dei desideri.
E può accadere che li udiamo.
Allora ci viene voglia di dire 'qualcuno ha perduto la sua vita e forse è stato per me, perché io potessi vedere'."
In "L'Invisibile" Mats Wahl combina un ritmo incalzante a un'atmosfera lenta: fatti e pensieri, realtà e finzione. Lo si legge così com'è scritto, quasi senza interruzioni: pochi capitoli scandiscono le pagine, e il tempo dell'indagine: "Lunedì mattina","Lunedì pomeriggio", "Lunedì sera", "Martedì primo mattino", "Martedì tarda mattinata", "Gli interrogatori", "Mezzogiorno di Martedì".
Non ci sono molte speranze in questo romanzo, pubblicato in Italia nel 2004, ma tragicamente attuale se si sfogliano i giornali di questi giorni che testimoniano un'escalation nazista anche in Svezia. Solo la gravidanza di Ellen - che sembra però messa lì, alla fine, per non arrendersi, ma senza troppa convinzione - cerca di aprire uno spiraglio. In realtà, l'unico vero senso sembra essere una domanda che non trova risposta, quella della madre di Ellen: "Come fanno delle persone assolutamente normali ad abbracciare una logica del genere? Io non lo riesco a capire."
Il lettore resta lì, a chiedersi da dove viene l'odio. Una domanda importante, a cui è necessario dare una risposta. Una domanda sulla quale giovani e adulti sono chiamati a riflettere, a fermarsi per capire il passato e a guardare con occhi bene aperti il presente.
Elisabetta Mincato, 28 dicembre 2008, in www.leggereleggerci.it |